Quando il lupo si veste da pastore, le pecore abbaiano

Pubblicato da: Enrico Flacowski

Il pastore, sul pulpito, deve avere grandi doti attoriali e carisma. Se non fosse autorevole e credibile, le pecore si disperderebbero. Come dice il vecchio detto, non basta una tonaca per sembrare un monaco. Bisogna anche crederci e investirci, e parecchio.

E le pecore? Quando sono dentro al Tempio, sono integerrime, battono la zampa sul petto, adorano la Sacra Parola. Poi, si sa, quando escono fuori dal Tempio, qualcuna sbaglia perché non ha capito, qualche altra non rispetta consapevolmente i comandamenti. Qualche peccatuccio qua e là, ma poi… basta tornare nel Tempio, mettere un like sul post del guru, commentare un «Sia lodato ciò che hai detto!» et voilà, la pecora torna a ruminare redenta e serena.

Le endorfine della redenzione sprigionate da like e commenti sono probabilmente la droga principale su cui si fonda la dipendenza tra guru e seguace. Che il pastore sia il capo di una setta, un marketer, un prete, un cantante o un attore, il fatto di poter commentare i suoi post e di ottenere una risposta o addirittura una menzione da parte sua in un retweet, ha un potere fortemente catartico.

Ma la vera redenzione avviene al momento della Comunione, detta condivisione.

Nel Sacro Tempio dei Social, la condivisione dei contenuti (del pane e del vino) distribuiti dal pastore è il grado massimo di redenzione. Cioè, se condividi nei tuoi canali social una infografica o un meme o un link creato da un guru, poi, per una settimana, puoi fare lo schifo che vuoi. L’importante è che sulla tua bacheca social ci siano i segni della Comunione. Ovviamente se fai anche il bravo, quindi metti in pratica gli insegnamenti del guru, ne guadagnerai in reputazione tra pecore colleghe e pecore clienti. Ma pare che sia importantissimo predicare bene. Del razzolare male non importa né al guru e né all’eventuale dio.

LinkedIn è il Vaticano dei Social

Quando ho iniziato a usare LinkedIn era un deserto, era considerato l’estensione digitale online del curriculum. Oggi è molto popolato e, se usi qualche trucchetto, puoi arrivare ad avere dai 100 ai 2.000 like in poco tempo. Ovviamente ci vuole costanza ma anche – lo abbiamo già detto – credibilità, doti attoriali e carisma. Se sai gestire questi ingredienti, puoi diventare un guru in circa un anno, ma anche meno.

La cosa più incredibile è che puoi farlo senza portfolio, cioè la gente crede in te, viene al tuo tempio e condivide la tua parola, anche se non dimostri di aver fatto, non dico un miracolo, ma almeno un lavoretto reale. Molti guru nei loro siti non dicono nulla dei lavori che hanno realizzato ma, quando salgono sul pulpito, citano parabole (dette anche case history) sempre rigorosamente di brand molto importanti. Altri facevano gli organizzatori di eventi (se portare a cena fuori dei VIP può essere considerato un evento) e inseriscono quei brand nel portfolio da SMM. È un mondo di lupi…

Nelle loro slide non specificano MAI che si tratta di casi studio non loro, di lavori non realizzati da loro, ma ne parlano con tanta sicurezza che per le percorelle ignare e ingenue pare ovvio che siano loro gli artefici.

Non sai fare nulla? Oppure sai fare qualcosa nella media? Se utilizzi alcune semplici tecniche su LinkedIn, i seguaci ti osanneranno come se fossi un dio e ti chiederanno la benedizione ogni giorno. E ogni giorno dovrai salire sul tuo social-pulpito per elargire contenuti che il tuo gregge possa condividere. Io non so come questo possa far gola, a me pare una rottura di coglioni pazzesca, significa rispondere a centinaia di commenti e messaggi. Ma quando lavorano questi?!? E con quale coscienza riescono poi a dormire sereni?

La tecnica dell’appecoramento

Purtroppo qualche lupo ha capito molto bene il fenomeno di appecoramento e l’algoritmo di LinkedIn.

Qualche anno fa un genio ha creato un gruppo di marketers usando la tattica del serial killer di The Following (serie TV): ha raccolto tanti neolaureati sparsi per l’Italia, disoccupati o quasi, ha dato loro un ruolo (pastori junior) e ha dato loro una grafica coordinata da usare sui social (una tonaca) e un tempio in cui diffondere il verbo (social ed eventi). Ovviamente, così facendo, il furbo è diventato automaticamente il Papa di una nuova religione.

Mettendosi like a vicenda (150-300 like a botta), i pastorelli hanno espanso la visibilità dei loro post, degli eventi organizzati e del “brand divino” alla velocità della luce. Perché su LinkedIn, lo sai, like e commenti corrispondono a condivisioni. Il gruppo è apparso subito molto fico, potente e credibile, inizialmente ai ragazzetti (che si reclutavano subito), poi anche ai professionisti più cresciutelli. Anche se la maggior parte di componenti della setta e degli attori avevano esperienza da stagisti, l’impatto dei 500 like faceva il suo effetto. Il gioco è fatto… I giovanetti hanno acquisito autorevolezza e credibilità, dal nulla, e il Papa ha edificato il suo inattaccabile Vaticano.

Un 40-50enne che su LinkedIn tenta di superare i 7 like per post, da 10 anni, pensa “Sorbole, 300 like sul post, in gamba il ragazzetto!” senza sapere che la prima ondata di like era dei componenti della setta. E il ragazzetto si sentiva parte di qualcosa di grande, e iniziava a convincersi di possedere doti incredibili, pur avendo zero esperienza o quasi. E, tra loro, qualcuno è spiccato diventando cardinale, perché aveva le grandi capacità attoriali, carisma e tanta ambizione (altrimenti detta fame, che ci sta eh!) e talvolta presunzione e arroganza.

L’appecoramento è una macchina perfetta che fa leva, principalmente, sul rapporto pastore-pecora.

Questo fenomeno ha generato una nuova generazione di giovani pastori-guru che sostengono pubblicamente di raggiungere fatturati stellari (basta poco per verificare che guadagnano meno di un impiegato statale), di essere nomadi digitali che nuotano nei milioni di euro viaggiando per il mondo, di gestire clienti giganteschi (nei siti, come dicevo, non hanno portfolio, e nessuno sa chi siano i loro clienti, oppure sono i clienti dell’azienda in cui lavorano, però in chat, in privato ti confessano che hanno clienti come Amazon, Alibaba, Nike) e di essere i numeri uno. Nonostante sia facilissimo verificare che dicano fandonie, fiumi di persone pendono dalle loro labbra. Altri addirittura li guardano con ammirazione e talvolta frustrazione.

Il potere delle vanity metrics è impressionante. Hai 1.500 like? Tieni, queste sono le mie chiavi di casa, è tua, e io sarò il tuo servo. Ah c’è anche mia moglie, trattamela bene eh… No, ragazzo, puoi avere tutti i like del mondo, ma prima che tu possa poggiare un piede sul mio zerbino, sulla soglia di casa, devi dimostrarmi veramente chi sei, ed è un imperativo, non una domanda. Altrimenti non ti faccio entrare neanche per bere un bicchiere d’acqua. Anzi ti spedisco fuori dall’edificio a pedate.

Fare il pastore è un lavoro impegnativo

Attenzione, fare il pastore è molto difficile. Hai un enorme responsabilità, grande pressione. In genere chi è guru, non può seguire più il lavoro che prima faceva normalmente. Tempo fa parlavo con Armando Travaglini, uno dei pochi veri esperti di Marketing del Turismo in Italia, e mi diceva che non ce la fa più a star dietro ai clienti, ne ha tenuti pochissimi per questioni affettive ma anche per tenersi allenato e sempre aggiornato. Ma Armando è un buon guru e fa davvero tantissima formazione di qualità.

Possiamo dire che la bontà di un guru è data dalla purezza della sua divulgazione? Sì, ma non solo. La sua purezza è data dal fatto che è una pecora vestita da pastore, è una pecora molto in gamba che è salita sul pulpito a condividere la sua pecoritudine. Il lupo travestito da pastore invece solitamente lo riconosci subito perché si appella alla vanità: le cosiddette vanity metrics di cui parlavo prima. Ovvero la misurazione dei like, delle visite, delle condivisioni, del fatturato, del potere… Pensa ai selfie di Bardolla o di quell’altro davanti alle Lamborghini.

Che sia una pecora o un lupo, il suo lavoro di pastore è davvero impegnativo e difficile. E allora per chi ho scritto questo post? Sono molto preoccupato per le pecore. Nei momenti di difficoltà, purtroppo, cercano ancora di più la protezione di un pastore. E mi piacerebbe che scegliessero con intelligenza e con dignità. Negli ultimi due anni vanno di moda libri pessimi sulla gestione del tempo, sulla persuasione, sulla PNL, con titoli sensazionalistici.

Un paio di settimane fa un guru che si è posizionato come esperto di growth hacking (ma non l’ha mai fatto in vita sua) ha segnalato un software di grafica in sconto. Dando una sfogliata ai commenti, penso che ne abbia venduto un centinaio. Cento pecore che hanno comprato un programma a 50 euro che non useranno mai. È questo il tipo di persuasione a cui ambite? Essere famosi come “esperti in” e vendere aria fritta a pecore bisognose?

Essere pecore sì ma con dignità

Quando qualcuno mi chiede la connessione LinkedIn, solitamente entro nel suo profilo e la prima cosa che faccio è guardare le sue Attività, cioè cosa commenta, cosa posta e cosa condivide. La maggior parte interagisce esclusivamente con questi simil-guru (validi e meno validi), posta solo una volta a settimana, anche ogni due settimane, post autocelebrativi/aziendali senza anima. In genere la pecora commenta e condivide per l’80-90% post di pastori, perché senza pastore non riuscirebbe a comunicare la propria identità.

Il lavoro del guru, sui social, diventa quindi quello di proiettare la propria identità sul gregge (penso sempre alla serie The Following, purtroppo rimasta incompleta per… carenza di pubblico, pensa un po’!) che, evidentemente, ha una crisi di identità. Non dico che domani non devi più condividere i meravigliosi meme di Veronica Gentili o i grafici di Neil Patel, che valgono davvero tanto, ma dico di farlo con la tua identità e di non provare a imitarli, facendo anche tu grafici e meme.

Dico che almeno una volta a settimana, su LinkedIn, forse è meglio scrivere un tuo pensiero reale, un tuo sentimento, una tua personalissima sinapsi. No?

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