Il significato di sharenting: sfruttare l’immagine dei figli sui social

Pubblicato da: Enrico Flacowski

Il termine sharenting significa letteralmente “condividere” (share) “parenting” (essere genitori) ed è un neologismo nato recentemente. L’Oxford English Dictionary lo ha introdotto nel 2022. 

Ogni volta che mi imbatto in questa ignobile attività sui social, inizio a cercare sul web e trovo i soliti articoli sui rischi dello sharenting, mai nessuno che parli del perché avviene questo fenomeno, quali sono le motivazioni che spingono madre e padre a postare sui social foto dei propri figli.

Anzitutto bisogna fare una precisazione per chi non conosce il mondo social: i social non sono soltanto Facebook e Instagram. Anche WhatsApp è un social network a tutti gli effetti, con cui è possibile condividere stories, ricondividerle, inviare foto, ricondividerle, creare gruppi, eccetera.

È abbastanza ovvio che postare foto dei propri figli minorenni — con o senza il loro consenso non importa, perché non sono capaci di intendere e di volere — li sottopone a diversi rischi abbastanza ovvi e prevedibili: dal possibile utilizzo per la pedopornografia alla rivelazione della geolocalizzazione.

Non basta oscurare i volti, perché chi ha cattive intenzioni trova sempre il modo di sfruttare un’immagine. Ormai con programmi di generazione immagini con le intelligenze artificiali è facile reinserire un volto al posto della bambina e inserirle tra le mani qualunque cosa. Ne hanno parlato Angus Crawford and Tony Smith di BBC News in un articolo sul commercio illegale di immagini di abusi sessuali su minori.

Senza contare il fatto che comunque è una violazione della privacy pazzesca. Non ci rendiamo conto di quanto questi momenti siano intimi, privati e non abbia senso metterli in vetrina alla mercè di chiunque. Infatti ciò che vorrei capire è il motivo.

Perché si sente il bisogno di condividere foto sui figli?

È un impulso irrefrenabile, è più forte di voi. Quella creatura è così bella che tutti dovrebbero saperlo, giusto? Non credo che la motivazione sia questa, mi dispiace, e se così fosse, sarebbe abbastanza triste ridurre una persona di tre anni, sangue del tuo sangue, a un bellissimo modello di essere umano da esporre online.

Quindi quali possono essere i motivi? Lavorando nella comunicazione da molti anni, ho sviluppato un buon senso critico e di osservazione, e vorrei provare a esporti la mia tesi. Le motivazioni potrebbero essere le seguenti.

NARCISISMO

I genitori proiettano se stessi sui figli. È lo stesso motivo per cui vorresti che i tuoi figli seguano il tuo identico percorso di vita o, viceversa, che abbiano un percorso migliore del tuo. In realtà dovrebbero vivere semplicemente il loro percorso di vita, e tu dovresti avere la capacità di guidarli senza influenzarli. Difficile, lo so, ma loro non sono te.

INSODDISFAZIONE REPRESSA

L’ambizione massima della persona media è sposarsi e avere figli entro quarant’anni. Se non ci riesci, hai perso. Se ci riesci, hai vinto. Ecco, nello scenario in cui il tuo bottino generale non è così alto, possedere un bellissimo figlio da mostrare è un bel trofeo per dimostrare (a te più che agli altri) il tuo senso di completezza e di soddisfazione.

POVERTÁ DI CONTENUTI

Se madre o padre postano continuamente foto dei figli, è perché non hanno altro da mostrare, altro da raccontare. È un segnale chiaro di svuotamento della vita. Se tu avessi visto un film, letto un libro, un articolo, avuto un’idea, dipinto un quadro, restaurato una sedia, qualunque altra cosa, sarebbe molto più interessante condividerla sui social, e la privacy dei tuoi figli ne beneficerebbe.

ENDORFINE DA VANITY METRICS

I social sprigionano nel nostro cervello endorfine e tante altre sostanze piacevoli ed energizzanti. Come? Ricevendo “mi piace” e altre reaction ci sentiamo premiati, apprezzati, glorificati, seguiti. Le foto dei bambini generano una pioggia di like, quindi generano dipendenza in chi le posta sui social.

SFRUTTAMENTO D’IMMAGINE

Il punto precedente è strettamente collegato a questo, ma anche il narcisismo, ma un po’ tutti in realtà. Molte persone usano i figli per dimostrare la loro genitorialità allo stesso livello dell’imprenditorialità, ed è qui che lo sharenting, secondo me, assume l’apice massimo. L’utilizzo dei bambini diventa strumento di riprova sociale.

Sharenting su LinkedIn

Frequento assiduamente LinkedIn, un social professionale, ovvero una piattaforma in cui ci si collega tra persone specializzate, si condividono pensieri su tematiche professionali ma in cui è ammesso ed è giusto anche parlare di altro, scherzare, insomma cazzeggiare. Giusto e sacrosanto. Tanto che LinkedIn ha da poco introdotto anche la reaction del sorriso.

Ecco che però, se arrivi a postare una foto in cui metti in mostra tuo figlio, la tua genitorialità e la metti sulla bilancia con l’imprenditorialità, davvero non hai niente da dire. “Sono un padre e sono un imprenditore” è un messaggio di marketing da politico di bassissimo livello, ed è eticamente scorretto sia nei confronti dei figli (per questioni di privacy) sia del pubblico (perché è una leva emotiva scorretta).

Esiste un modo per capire se queste persone postano la foto dei figli — e spesso insieme ai loro figli, proprio per mostrare la genitorialità — in modo sincero e spontaneo e non per strumentalizzare lo sharenting per fini di personal branding. Prova a contare ogni quanti post “usano” l’immagine dei figli. Se lo fanno, per esempio, ogni 5 post o ogni 10 post, allora non è stato un passionale colpo di testa, “foto con figli” è un contenuto previsto dal loro calendario editoriale.

In questi casi, chiunque sia, blocco il suo profilo per non vedere più contenuti del genere.

Casi famosi di sharenting

Non voglio né menzionarli né mostrarli direttamente, ma sono sotto gli occhi di tutti. Sui social e in tv esistono decine di casi in cui famiglie famose vivono con telecamere dentro casa e condividono ogni minuto della loro vita. Questa forma di comunicazione, che io ricordi, iniziò a essere usata dai presidenti americani negli anni Sessanta.

Su TikTok esistono decine di casi di bambini e bambine che, grazie a qualche particolarità — sanno ballare, hanno una parlantina incredibile, sanno suonare, eccetera — hanno milioni di follower. Ecco, quei profili social sono gestiti dai genitori, e sono loro che incassano la pagnotta.

Tra l’altro è in corso un’indagine dell’UE su TikTok. Il commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, sostiene che il design dell’app provoca dipendenza, utilizza l’effetto tana del coniglio per intrappolare gli utenti, non c’è alcun controllo sulla verifica dell’età, il settaggio della privacy è poco trasparente.

In conclusione, prima di mettere in mostra tuo figlio — ovvero la tua abilità e le tue capacità genetiche e imprenditoriali — pensaci cento volte, magari mille, e non farlo, è una pratica scorretta.

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